giovedì 19 luglio 2012

Cubana (racconto tratto da "Più svelti dell'anima")

Verso le undici di questa sera sono entrato in un bar del centro per comprare le sigarette, e ho incontrato Claudietto. Non lo vedevo dall’inverno scorso. Ci siamo abbracciati, e mentre lui ripeteva il mio nome, ho chiesto come gli andava.
«Bene, bene» ha detto. Staccandosi da me l’ha ripetuto di nuovo. Poi la prima cosa che ha voluto dirmi è stata che sua moglie l’ha lasciato da un paio di mesi.
È straordinario. Proprio oggi pomeriggio ero in auto con la mia fidanzata e si parlava di quelli che come Claudietto vanno a cercasi la moglie a Cuba. Avevamo appena visto, fermi a un semaforo, una ragazza bosniaca che chiedeva l’elemosina, e a Sara era venuto di pensare che quella bosniaca era giovane e poteva anche cercarsi un lavoro, piuttosto che starsene tutto il giorno a un semaforo con il cartello: Sono bosniaca. Ho fame. Grazie.
Con un vestito decente, poi, sarebbe stata anche una ragazza bellina, e se si dava un po’ da fare, un uomo italiano lo trovava di certo, e poteva sistemarsi così per il resto della vita.
Dopo un po’ che avevamo lasciato il semaforo, Sara m’ha raccontato questi suoi pensieri e ha concluso dicendo «Pare normale pensare questo, no? Voglio dire: di brutti uomini che non trovano moglie ce ne stanno tanti, ma quella poveretta poi dovrebbe passarci insieme tutta la vita. Insomma: dovrebbe anche andarci a letto, capisci. E invece un pensiero del genere ti viene per la testa come se pensarlo fosse normale.»
Il discorso è scivolato sugli italiani che vanno a Cuba a cercare moglie, e anche se Sara ha continuato a parlare in generale, sono quasi sicuro che pure a lei è venuto in mente Claudietto. Comunque a un certo punto se n’è uscita dicendo che bastava ragionarci un po’ su per capire che questi matrimoni sono solo una forma di prostituzione legalizzata. Al che, ridendo, ho aggiunto «Una prostituzione fedele.»
«Be’, sì» ha detto lei. «Ci si prostituisce per anni con lo stesso uomo.» L’ho sentita fare una specie di brrr. Poi è tornata a parlare e ha detto che certi legami, comunque, non durano molto, ché queste cubane, una volta ottenuta la cittadinanza italiana, chiedono quasi sempre il divorzio. Nella testa di Sara, all’improvviso, i brutti uomini italiani erano diventati le vittime di tutta la situazione.
«È una specie di guerra fra poveri» le ho detto cercando di tenere il filo dei suoi pensieri. «Anzi no» ho detto. «Non fra poveri, fra disperati: c’è chi ha bisogno di uscire dalla miseria e chi dalla solitudine.»
È parlando così che m’è venuto in mente Claudietto. Ma non il Claudietto di oggi: un uomo obeso e quasi calvo. Ho pensato al Claudietto di quando facevamo le elementari. La luce è quella afosa dell’estate, e ci siamo io, Claudietto e anche Sergio che stiamo giocando a pallone in piazza Malatesta. Sergio fa il portiere neutrale, mentre noialtri due ci diamo da fare in attacco, in una partitella uno contro uno. Con la palla tra i piedi Claudietto è molto più agile e svelto di me, e quindi è chiaro che sarà lui a vincere la partita. Ha già vinto la conta per chi di noi è la Juve, e ogni volta che tocca palla lo sento che grida il nome di Anastasi, in una specie di autotelecronaca in diretta. Pure io e Sergio siamo juventini, però mi sono dovuto accontentare di fare la parte di Boninsegna mentre Sergio, che voleva a tutti costi essere Zoff, alla fine ha scelto per sé il nome di Albertosi.
Gli altri nostri amici ci hanno sempre chiamato i fratellini, perché eravamo tutti e tre magri, biondi e piccoletti di statura. Sergio, a dire il vero, è sempre stato quello più alto, e da grande – anche se ormai non lo vedo da anni – è diventato una stanga che supera quasi il metro e ottanta. Ma non è un bel ragazzo, da quel che ricordo: gli è rimasto quell’aspetto allampanato che aveva fin da bambino. Bello – bello sul serio – era invece Claudietto. S’è cominciato a guastare quando andavamo alle superiori. Ma solo oggi so che i chili che aveva iniziato a prendere in quegli anni – e che in principio, anzi, gli avevano dato subito questo aspetto da uomo che gli permetteva di uscire persino con ragazze più grandi di noi – erano il segno d’un cambiamento.
Terminate le scuole, presa la patente, ogni sabato sera con la mia 127 siamo planati per anni nelle discoteche riminesi. Quando abbiamo litigato, io e Claudietto stavamo tornando proprio da Rimini. Era quasi l’alba e la 127 era ferma sulla corsia d’emergenza dell’autostrada, senza un goccio di benzina. In seguito, abbiamo semplicemente smesso di cercarci.


Questo inverno, quando ho rivisto Claudietto, lì per lì ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte una persona malata. Nella sua grassezza ho creduto di scorgere qualcosa d’innaturale. Sarà stato per questo, forse, o per le cose che c’eravamo detti in autostrada, ma ho preferito tenermi un po’ sulle mie. Claudietto, in ogni caso, s’è mostrato sorridente e cordiale come se tra noi non fosse successo niente. Era spiritoso, e mentre l’ascoltavo mi sono tornate alla mente alcune immagini delle elementari, quando tutte le ragazzine della nostra classe – che per noi erano tutte le ragazzine del mondo – mostravano simpatia soltanto per lui. Non ce n’era per nessun altro, a quel tempo, e gli inutili tentativi che facevo per insidiare il suo feeling con Lella, la più carina in assoluto, erano semplicemente patetici. Ricordo che per Lella mi sono pure sputtanato con gli amici, e questo perché un pomeriggio avevo detto che dovevo fare i compiti e non potevo andare in piazza Malatesta a giocare a pallone. E invece avevo telefonato a Lella, e poco dopo ero già a casa sua a giocare ai fidanzati con la Barbie e Ken. Poi, per colpa di quella spia della sorella grande di Lella – che alla fine aveva solo un anno più di noi – per alcune settimane avevo dovuto sopportare i miei amici che durante le partite si divertivano a fare la telecronaca con frasi come «Dribbling di Ken sulla fascia. Ken colpisce di testa. Solo davanti alla porta, Ken riesce a sbagliare.»


La moglie di Claudietto ho fatto appena in tempo a vederla una volta. Quest’inverno. Passeggiavo lungo il corso con Sara quando abbiamo incrociato Claudietto. Dopo un po’ che si parlava, lui ci ha indicato una ragazza di colore, molto alta, davvero bella, e con un cagnetto peloso che con un braccio teneva stretto contro il petto. Stava a una decina di metri da noi, e sembrava indaffarata a guardare le scarpe ammonticchiate su una bancarella.
«Quella è mia moglie» ha detto. «L’ho conosciuta a Cuba due estati fa. Poi a Natale dell’anno scorso sono tornato giù a prenderla e ci siamo sposati al volo.» Subito dopo m’ha messo un braccio attorno alle spalle e sorridendo ha chiamato forte il nome della ragazza e le ha gridato «Questo è Francesco, un amico mio. E questa è la sua fidanzata.»
La ragazza cubana, allora, ha alzato il braccio libero dal cagnetto peloso e ha fatto un cenno di saluto.
L’unico pensiero che ricordo d’aver fatto in quel momento, è che la ragazza aveva un aspetto sano.


Verso le undici di questa sera, quando sono entrato in quel bar per comprare le sigarette, un istante prima che ci abbracciassimo, d’istinto ho lanciato un colpo d’occhio attorno per vedere la ragazza cubana, ma Claudietto m’è saltato al collo quasi subito e non ho fatto in tempo a vedere niente.
«Come va, Claudietto» gli ho chiesto mentre ancora mi stringeva a sé.
La separazione con sua moglie è stata la prima cosa di cui m’ha parlato. M’ha detto che sono quasi due mesi che non vivono più assieme. Ho pensato di chiedergli dove fosse lei, adesso, ma ho detto solo «Be’… ma come va ora.»
M’ha risposto che adesso va meglio, che è stata dura all’inizio, e sorridendo ha detto che non si può mica morire per certe cose, anche se certe cose – ha aggiunto – non dovrebbero accadere mai. Poi m’ha spiegato che lei, ora, fa la cameriera in un bar, ma non ho capito quale.
«Bene» ho detto. «Ma adesso, eh… come ti va, adesso.»
Ha ripetuto che certe cose sarebbe meglio non accadessero. Che stavolta è toccata a lui. Ma ora si sta rimettendo in carreggiata. Il mese scorso s’è comprato pure un appartamento in centro, al pianterreno e col giardino, e visto che è arrivata l’estate e ci sono i mondiali, ha messo la prolunga per la tivù, e quel pezzetto di terra se lo gode davvero.
«Bene» gli ho fatto. «Allora va abbastanza bene, mi pare.»
«Sto ricominciando. Ma è stata dura, all’inizio. Se sei tu che lasci è dura lo stesso. Ma se vieni lasciato è dura due volte, giusto?»
«Hai ragione» ho detto. «Forza, dài. Che va meglio adesso, no?»
«E tu» m’ha chiesto. «Stai ancora con quella tipa lì che ho visto… quand’era?»
«Era questo inverno. Sì, esco ancora con lei, quella ragazza bionda… Sara, ricordi?»
«Certo. Sara. Carina Sara. Proprio carina.»
È stato allora che ho fatto scivolare un braccio dietro la schiena di Claudietto e me lo sono tirato più vicino. Siamo restati a quel modo a guardarci dritti in faccia, facendo tutti e due sì con la testa e sorridendo. Sentivo il grasso del suo fianco riempirmi la mano, e visto così da vicino il sottogola di Claudietto faceva davvero impressione. Poi, di scatto, ho fatto il gesto di dargli un pugno sulla pancia e ho detto forte «Allora! Come va, eh, Claudietto?»

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