mercoledì 27 aprile 2011

Sulle parole del processo lungo

Si è detto molto sull’uso delle parole in politica fatto dalla destra di Berlusconi. Per esempio, si è parlato dello “scendere in campo” come a indicare un arrivo dall’alto nell’agone politico (che è ben diverso da un "prestarsi al servizio di"). Al suo ingresso nella politica, nel 1994, Berlusconi parlò di “azienda Italia” , e già da subito si doveva capire quali sarebbero state le sue mosse future. Perché se l’Italia è una azienda, chi sta al vertice dell’azienda ne è il proprietario o l’amministratore unico e non il primo ministro, cioé un uomo al servizio dello Stato (e questo spiega bene il fastidio di Berlusconi per le altre istituzioni); e i cittadini, nel migliore dei casi, sono dei dipendenti, con tutto ciò che ne consegue. Non dimentichiamo, tuttavia, che già da tempo veniamo più spesso considerati, invece che cittadini, consumatori.
Ma entriamo nello specifico del dibattito di queste settimane sul processo breve e i suoi derivati. Come sempre, il governo Berlusconi è abile nel fare equilibrismi lessicali. L’equivoco di fondo, con cui si vuol far credere che l’Europa chiede un processo breve e che questo processo breve è un bene per tutta la collettività che lo reclama a gran voce, sta tutto nella scelta dell’aggettivo con cui è posta la questione: il processo è lungo. Perché se il processo è lungo, la soluzione sarà un processo breve; e se la soluzione è un processo breve, allora le scelte strategiche dovranno mirare a rendere più corto il tempo a disposizione dei magistrati per fare il processo (di qui la prescrizione breve e le altre proposte in discussione). Che poi questo sia fonte di giustizia ingiusta e che aggravi le carenze del nostro sistema giudiziario, non è questione che importi, a quanto pare. Ma se noi cominciassimo a chiamare le cose con il proprio nome, a smascherare le ambiguità e a diradare la nebbia dell’equivoco, salterà subito all’occhio come, da parte di qualcuno, si sia artatamente creata confusione attorno all’argomento col fine di confondere i meno attenti. Dunque: proviamo a sostituire l’aggettivo lungo con l’aggettivo lento e vediamo cosa succede. Se il processo non è lungo, ma è lento, ne consegue che non gli si opporrà come soluzione un processo breve, ma un processo rapido; questo comporterà così una diversa metodologia per risolvere la questione, che sarà finalizzata non ad accorciare i tempi a disposizione, ma ad aumentare le risorse (in termini economici, di personale, di attrezzature e così via) affinché il processo termini nei tempi prestabiliti (con l’assoluzione degli innocenti, la condanna dei colpevoli, il risarcimento delle vittime, insomma: la giustizia) e non cada in prescrizione. Come appare chiaro, è sufficiente sostituire l’aggettivo lento a lungo per avere risultati diametralmente opposti e, quindi, soluzioni opposte e opposte ricadute sulla società. Ci si chiederà: ma è possibile che il Governo non se ne sia accorto? Possibile che siano tutti così poco avveduti da inciampare in un banale problema di aggettivi? Il fatto è che a Berlusconi un processo rapido fa orrore! Processo rapido significherebbe che i processi che lo vedono imputato andrebbero a buon fine, rivelandoci, finalmente, la sua innocenza o la sua colpevolezza. Il processo, per Berlusconi, deve essere necessariamente breve, così breve, possibilmente, che non si riesca neppure a celebrarlo. E comunque, nel caso, alla difesa si dovrà dare la possibilità di rallentarlo il più possibile, pur di farlo andare in prescrizione (si veda in proposito l’emendamento del capogruppo Pdl in commissione Giustizia, Franco Mugnai, al ddl sul “giudizio abbreviato”, che consente alla difesa di presentare elenchi infiniti di testimoni; e prevede che una sentenza passata in giudicato non potrà più considerarsi prova definitiva in un processo). Insomma, non è una formalità, ma una questione di qualità.

2 commenti:

  1. Hai parlato con una logica schietta e pulita. Ragionare e esprimersi così è, per chi si interessa di politica e ama confrontarsi con gli altri, una necessaria virtù; ma per i politicanti nell’esercizio delle loro funzioni, è un vizio imperdonabile, da concedersi solo nelle alcove e tra pochi intimi. La limpida razionalità è la vera trasgressione, altro che i festini con minorenni.
    Dici bene, il tema del ‘processo breve’ è stato dato in pasto alla pubblica opinione attraverso una banalizzazione lessicale che poi diventa concettuale, per essere facilmente digerita dai cervelli più pigri.
    Ma la truffa si spinge oltre, coprendo sotto l’apparente coerenza e piattezza di linguaggio una dolosa confusione tra ordini di idee ben distinti.
    Sarebbe dunque davvero più appropriato parlare, invece che di processo “breve” o “lungo” – attributi meramenti quantitativi - di processo “rapido” (= efficace) e “lento”(= macchinoso), che sono attributi qualitativi. E pazienza! E’ un linguaggio ignorante che vuol far presa (e preda) sui cittadini-sudditi più inconsapevoli.
    Ma a questo si aggiunge il sofisma: una dolosa confusione dei piani logici, nascosto dal paravento di un linguaggio chiaro e limpido: infatti, la sostanza della proposta di riforma, lungi dal garantire più efficacia alla macchina giudiziaria (caratteristica qualitativa), come auspichi, si limita a stabilire che il processo in sé DEVE ESSERE breve (caratteristica quantitativa); d’altra parte la difesa possiede strumenti efficaci (caratteristica qualitativa) per allungare i tempi e far fallire il procedimento (sulla base di un principio quantitativo).
    Viene cioè pensato un meccanismo di processo che ha caratteristiche intrinseche ‘autoabortive’.
    Che ne pensa la CEI?

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